L’acqua

Caratteristiche chimico-fisiche

L’acqua non è solo un composto chimico di idrogeno e ossigeno. Al suo interno si trovano numerose sostanze disciolte che ne determinano le caratteristiche chimiche e fisiche. Gli elementi contenuti nell’acqua (sotto forma di sali, ioni e, in misura minore, composti organici) sono indispensabili per i processi metabolici dell’organismo umano e il loro apporto ne garantisce la sopravvivenza.
Di seguito ecco una descrizione delle principali caratteristiche chimico-fisiche.

Attività ione H+
La concentrazione dello ione idrogeno esprime l’acidità o la basicità di un’acqua ed è definita dalla relazione pH = – log [H3O+] ed è comunemente indicata con l’unità di misura (pH). Un’acqua è definita acida se il pH<7; basica se pH>7, mentre a pH = 7 abbiamo la perfetta neutralità. In genere le acque fornite dagli acquedotti sono comprese nell’intervallo 6.8¸ 8.0.
La normativa attualmente in vigore, il Decreto Legislativo n. 31/2001 “Attuazione della direttiva 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano”, colloca il pH nella categoria definita “parametri indicatori” e prevede che il suo valore sia compreso nell’intervallo 6.5 ≤ pH ≤ 9.5.

Conducibilità elettrica specifica
È una grandezza che definisce la capacità di un’acqua di condurre la corrente elettrica: in realtà, poiché l’acqua pura non ha questa capacità, la conducibilità elettrica specifica è determinata dagli elettroliti, cioè dalla presenza di particelle disciolte dotate di carica elettrica, ioni positivi e negativi. Questo parametro è quindi direttamente proporzionale al contenuto di ioni disciolti, ma non è in grado di dare alcuna indicazione sulla loro natura. Puessere invece messo in correlazione con il residuo secco, parametro che rappresenta il contenuto totale delle sostanze disciolte, dato che nelle acque la maggior parte delle specie solubilizzate sono in forma ionica. La conducibilità elettrica specifica è espressa in microsiemens per centimetro ad una data temperatura, in genere si utilizza 20 °C ( µS/cm a 20°C); per la sua determinazione si impiega un apposito strumento denominato conducimetro. La normativa vigente, il Decreto Legislativo n. 31/2001, colloca la conducibilità elettrica specifica tra i “parametri indicatori” e indica un valore limite massimo pari a 2500 µS/cm a 20°C.

Torbidità
Con questo termine si intende la diminuzione della limpidità di un’acqua causata da sostanze solide o colloidali in sospensione. La presenza di torbidità nelle acque che contengono ferro e manganese è provocata da loro composti che in certe situazioni precipitano come solidi. è un parametro che influenza nettamente la qualità dell’acqua potabile ed ha un immediato impatto sull’utilizzatore che è invogliato all’uso di acqua limpida mentre mostra sempre più repulsione all’aumentare della torbidità. Questo parametro è determinato per via strumentale con un Torbidimetro e si esprime in NTU (Nephelometric Turbidymetric Unit) o FTU (Formazine Turbidymetric Unit) tra loro equivalenti. La torbidità e collocata dal Decreto Legislativo n. 31/2001 tra i “parametri indicatori” ed il valore indicato, 1 NTU, vale solo in caso di trattamento di acque superficiali; per tutti gli altri casi è indicata la seguente definizione: “Accettabile per i consumatori e senza variazioni anomale”.

Residuo secco determinato a 180°C (o residuo calcolato)
Indica la quantità totale di sali minerali presenti nell’acqua ed è espressa in mg/L. In genere è una grandezza che può essere correlata alla conducibilità elettrica specifica. Questo parametro può essere determinato direttamente con una procedura analitica specifica oppure può essere calcolato se sono stati analizzati tutti i singoli componenti principali di un’acqua. Il Decreto Legislativo n. 31/2001 classifica il residuo secco nei parametri indicatori ed indica soltanto un valore massimo consigliato di 1500 mg/L.

Calcio (durezza)
Con il termine durezza dell’acqua, parametro a cui è riconducibile il classico fenomeno della formazione del calcare, si intende il contenuto di sali di calcio e magnesio. La durezza è generalmente espressa in gradi francesi (1 °F corrisponde a 10 mg/L di carbonato di calcio): in pratica un’acqua è tanto più dura quanto maggiore è il contenuto di questi sali. Gran parte delle risorsa idrica distribuita dagli acquedotti del nostro territorio ha una naturale presenza di calcio e magnesio tale da far classificare l’acqua da “dura” a “molto dura”. Dal punto di vista normativo, il Decreto Legislativo 2 febbraio 2001, n. 31 “Attuazione della Direttiva Europea 98/83/CE relativa alla qualità delle acque destinate al consumo umano” non riporta indicazioni e/o limiti di riferimento specifici per il calcio e il magnesio: le ricerche scientifiche hanno infatti escluso da tempo criticità per la salute umana legate alla presenza di questi ioni nell’acqua potabile. Si trova invece nello stesso decreto un riferimento relativo alla durezza: essa è riportata tra i “parametri indicatori” senza un vero e proprio valore limite ma soltanto con un intervallo consigliato (tra 15 e 50 °F) a dimostrazione che non vi è alcuna correlazione fra durezza ed effetti negativi sulla salute umana. Un elevato contenuto di sali di calcio e magnesio può tuttavia avere effetti negativi ed indesiderati per gli usi tecnologici di tipo domestico (caldaie, macchine lavatrici, sanitari ecc.), la cui mitigazione può essere adottata dall’utente a monte del proprio impianto con le usuali tecnologie disponibili in commercio. In questi casi è sempre buona norma essere certi del mantenimento dei livelli di potabilità dell’acqua nel proprio impianto interno, tramite la manutenzione e il controllo periodico del sistema di trattamento utilizzato, così come indicato dal Decreto del Ministero della Salute 7 febbraio 2012, n. 25 recante le “Disposizioni tecniche concernenti apparecchiature finalizzate al trattamento dell’acqua destinata al consumo umano”.

Componenti principali: fluoruri, cloruri, solfati, sodio, potassio e bicarbonati
In pratica un’acqua contiene una certa quantità di sostanze disciolte che sono in stretta relazione con le rocce ed i minerali che ha incontrato nel suo percorso. Sono specie chimiche che assumono forma ionica come i cationi, calcio, magnesio, sodio, potassio e gli anioni cloruri, solfati, bicarbonati, fluoruri o forma indissociata come, ad esempio, la silice e il boro. In genere la loro concentrazione, pur spaziando tra alcuni ordini di grandezza, è a livello di (mg/L). Da un punto di vista di ricerca analitica abbiamo a disposizione, per ognuna di queste sostanze, dei metodi specifici estremamente precisi e ripetibili che la maggior parte dei laboratori è in grado di eseguire. Per alcune di queste sostanze, il Decreto Legislativo n. 31/2001 indica un valore di parametro che è per lo più, legato ad aspetti di natura organolettica, come ad esempio le concentrazioni dei cloruri e dei solfati che possono conferire un sapore caratteristico all’acqua, talvolta a situazioni di rischio sanitario, come ad esempio il sodio, che in elevata concentrazione può favorire ipertensione in soggetti predisposti.

Nitrati (sostanze azotate)
Con questa definizione si intendono le specie chimiche inorganiche contenenti azoto quali gli ioni ammonio, nitrito e nitrato. Essendo queste forme l’ultimo anello della catena di trasformazione di sostanze organiche proteiche sono spesso associate ad un possibile inquinamento da acque di scarico. Queste tre forme di azoto sono legate tra loro, nel senso che, in seguito a fenomeni biochimici di ossidazione e riduzione, possiamo avere nell’acqua una sola specie oppure la loro presenza contemporanea. In realtà nelle acque sotterranee utilizzate per scopi potabili lo strato di protezione è tale da non consentire un inquinamento di questo tipo, tanto che i parametri microbiologici che accompagnano sempre la presenza di sostanze azotate nelle acque di scarico, risultano assenti. L’origine nel sottosuolo dell’ammonio, che spesso nel trattamento di potabilizzazione si trasforma in nitrato, è legata alla trasformazione di sostanze organiche ma l’evento è avvenuto in epoche talmente remote, tanto da definirsi “geologico” . Molto spesso in questi casi la presenza di ammonio è accompagnata da ferro e manganese. In ogni caso il Decreto Legislativo n. 31/2001 prevede per queste sostanze un valore di parametro: per l’ammonio, collocato tra i “parametri indicatori”, abbiamo una concentrazione massima di 0.5 mg/L, per i nitrati ed i nitriti, classificati tra i “parametri chimici” abbiamo rispettivamente 50 e 0.50 (0.10) mg/L (il valore tra parentesi per i nitriti vale per acque sottoposte a trattamento di potabilizzazione). Per queste due ultime sostanze deve inoltre valere la relazione {[NO3]/50+[NO2]/5} ≤ 1.

Ferro e manganese
Queste due sostanze sono normalmente presenti nelle acque del sottosuolo in concentrazione superiore ai valori parametrici del Decreto Legislativo n. 31/2001, che è di 200 µg/L per il ferro e 50 µg/L per il manganese. La loro origine è dovuta a ragioni esclusivamente naturali e non è associabile alle attività umane. Il problema principale causato da queste sostanze è la formazione di precipitati solidi di colore rossastro per il ferro e bruno per il manganese, costituiti dai rispettivi idrossidi idrati che, essendo visibili anche in bassa concentrazione, alterano nettamente le caratteristiche organolettiche. In genere negli impianti di potabilizzazione per eliminare queste sostanze è utilizzato l’ossigeno dell’aria; più raramente sono utilizzati agenti chimici ossidanti come l’ozono, il permanganato etc. Il ferro e il manganese sono classificati come “parametri indicatori”.

Altre sostanze chimiche
Molte sostanze possono essere contenute nelle acque sia per ragioni naturali che a causa di inquinamenti provocati dal’uomo. In particolare la presenza di queste sostanze è caratterizzata da concentrazioni molto basse, l’ordine di grandezza è compreso tra i µg/L (microgrammi per litro) ed i ng/L (nanogrammi per litro) che corrispondono rispettivamente a 10-6; o 10-9 g/L. Da un punto di vista di classificazione possono essere divise in sostanze inorganiche, come ad esempio metalli pesanti (Cadmio, Cromo, Piombo, Nichel, Rame, Bario, Zinco, Mercurio, Antimonio, Selenio e Vanadio) e non metalli (Arsenico) e sostanze organiche, tra cui alcuni solventi alogenati, come il Tricloroetilene e il Tetracloroetilene, solventi aromatici come il benzene, ed altre sostanze come gli idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e molecole di uso agricolo (insetticidi, erbicidi, fungicidi etc, comprendendo per queste ultime sia il principio attivo che i prodotti di metabolizzazione. Sono inoltre ricercate le sostanze derivanti dalla disinfezione sia di matrice organica, di cui le più note sono i trialometani, che inorganica, il clorito ed il bromato, che sono i prodotti di reazione del biossido di cloro e dell’ozono. In genere i metalli pesanti sono derivanti da problematiche naturali, ad esempio un’eccessiva mineralizzazione delle acque nel sottosuolo può provocare una migrazione di queste sostanze nelle acque; tuttavia nel territorio dell’Ambito Territoriale Ottimale n° 2 Basso Valdarno questa eventualità è piuttosto remota, infatti non abbiamo una presenza significativa dei metalli pesanti nelle acque. La contaminazione da sostanze organiche invece è causata da fenomeni di inquinamento provocati, più o meno consapevolmente, dall’attività umana. In linea generale le problematiche relative alla presenza di sostanze organiche sono, fortunatamente ridotte a pochi casi e le tecniche di trattamento utilizzate consentono, sempre più spesso una completa eliminazione dall’acqua prima della distribuzione. La stessa cosa può essere detta per i sottoprodotti delle disinfezione, in quanto le varie fasi della potabilizzazione attuate, limitano considerevolmente la presenza di queste sostanze. Ovviamente, per tutte queste sostanze il limite previsto dal Decreto Legislativo n. 31/2001, indicato nella categoria “parametri chimici”, è compreso tra i ng/L e i µg/L; ovviamente al diminuire della concentrazione indicata dal valore parametrico si ha un aumento di tossicità. Questi valori sono ricavati da sperimentazioni a lungo termine condotte su cavie sottoposte a quantità note e crescenti della sostanza esaminata. Si prende quindi come riferimento la quantità giornaliera di esposizione, espressa in grammi di sostanza per chilogrammo corporeo che non ha causato effetto sulle cavie, moltiplicandola prima per un coefficiente di riduzione, generalmente compreso tra 0.01 ÷ 0.0001, poi per uno di sicurezza, di solito 0.1. Si ottiene così la quantità tollerabile giornaliera espressa in grammi per chilogrammo di peso corporeo che, come minimo, è almeno mille volte inferiore alla quantità iniziale. La concentrazione ammessa nell’acqua riportata nel Decreto Legislativo n. 31/2001 è calcolata considerando una persona del peso di 70 chilogrammi, supponendo che ingerisca 2 litri di acqua ogni giorno. Il valore così ottenuto è molto cautelativo tanto che se non ci si accorge di un eventuale superamento la popolazione interessata non deve risentirne; ciò ha una spiegazione nel fatto che spesso tra il prelievo ed il risultato dell’analisi passa sempre un periodo di tempo più o meno lungo.
Questa procedura, approvata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità, è applicata per molte sostanze presenti nel Decreto Legislativo n. 31/2001, ma non per le sostanze usate in agricoltura per le quali è stato indicato un valore di 0.10 mg/L per componente singolo e 0.50 mg/L come somma totale. In realtà per la maggior parte di queste sostanze se fosse utilizzato il criterio indicato in precedenza i limiti sarebbero diversi con valori più elevati: ad esempio l’atrazina avrebbe un valore di 2.5 mg/L che è 25 volte più alto di quanto consentito.

Il cloro
Questa sostanza non è chiaramente contenuta nelle acque naturali ma è aggiunta durante il trattamento per sterilizzare o, più spesso, per mantenere inalterate nella rete di distribuzione le caratteristiche di purezza microbiologica. In linea generale per questa operazione sono utilizzate due diverse sostanze: l’ipoclorito e il biossido di cloro. In genere la concentrazione di queste sostanze è compresa tra 0.10 ¸ 0.20 mg/L, valori idonei a garantire una qualità microbiologica perfetta. 

Parametri microbiologici
Gli esami microbiologici hanno lo scopo di assicurare che l’acqua non contenga microrganismi patogeni. Poiché questi ultimi sono innumerevoli e di difficile ricerca, si utilizzano altri parametri, detti indicatori, molto più semplici ad essere ricercati e molto più resistenti in ambiente acquoso, la cui assenza assicura la non presenza di microrganismi patogeni, capaci cioè di far insorgere malattie. Escherichia coli, enterococchi, Clostridium perfringers, colonie a 22°C e batteri coliformi sono i principali indicatori utilizzati a questo scopo. Tra l’altro i primi due sono classificati dal Decreto Legislativo n. 31/2001 tra i “parametri microbiologici” mentre gli altri sono collocati tra i “parametri indicatori”. Possono essere ricercati anche altri parametri indicati come accessori come le alghe, il batterofago anti E. coli, gli elminti, gli enterobatteri patogeni, gli enterovirus, i funghi, i protozoi, Pseudomonas aeruginosa e gli Stafilococchi patogeni. Normalmente come indicatore di qualità microbiologica si utilizza anche la ricerca delle colonie a 37 °C. Il Decreto Legislativo n. 31/2001 prescrive per i parametri accessori soltanto la costante assenza degli enterovirus, del batteriofago anti E. coli, degli enterobatteri patogeni e degli stafilococchi patogeni. Per le colonie a 22 °C, parametro caratteristico della situazione ambientale non sono indicati valori ma è segnalato soltanto che non devono presentarsi situazioni di variazioni anomale.

(°)il limite vale nel caso di acqua di provenienza superficiale

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